Onorevoli Colleghi! - La Corte costituzionale orienta ormai da anni la propria attività giurisdizionale in materia di incandidabilità e di ineleggibilità affermando che il precetto di cui all'articolo 51 della Costituzione deve essere inteso nel senso che «l'eleggibilità è la regola, l'ineleggibilità l'eccezione».
      Questo principio è giustificato dal fatto che la previsione dell'incandidabilità e dell'ineleggibilità e della conseguente nullità dell'elezione è misura che comprime la possibilità che l'ordinamento costituzionale offre al cittadino di concorrere al governo democratico, derogando al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo.
      Al riguardo occorre precisare che, per quanto la ratio della disciplina dell'incandidabilità e dell'ineleggibilità consenta di distinguere in modo evidente due fattispecie diverse, in realtà nella maggior parte delle occasioni la Corte costituzionale tende ad utilizzare quasi indifferentemente i termini di incandidabilità e di ineleggibilità, facendo emergere una propensione a considerare le ipotesi di non candidabilità come specifiche ipotesi di ineleggibilità.
      In numerose sentenze il giudice costituzionale ha avuto modo di precisare che le fattispecie di incandidabilità e, quindi, di ineleggibilità già previste dal legislatore non rappresentano un aspetto del trattamento sanzionatorio penale derivante dalla commissione del reato e nemmeno un'autonoma sanzione collegata al reato, ma piuttosto l'espressione del venire meno di un requisito soggettivo per l'accesso alle cariche elettive stabilito dal legislatore nell'esercizio della sua discrezionalità.
      È infatti al legislatore che l'articolo 51, primo comma, della Costituzione, demanda il potere di definire i requisiti in

 

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base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza.
      Queste considerazioni trovano conferma implicita nella giurisprudenza della Corte costituzionale che, a partire dall'anno 1996, stabilisce che solo una sentenza irrevocabile di condanna può giustificare l'esclusione dei cittadini che intendano concorrere alle cariche elettive, sia che si tratti di elezioni politiche che di elezioni amministrative.
      È utile, inoltre, ricordare che, sempre in base alla giurisprudenza sin qui richiamata, l'elezione di coloro che versano nelle condizioni di non candidabilità è nulla, senza che sia in alcun modo possibile per l'interessato rimuovere l'impedimento all'elezione, come invece è ammesso per le cause di ineleggibilità derivanti da uffici ricoperti.
      Si è detto come la Corte costituzionale abbia compiuto nel corso degli anni un'opera di rivisitazione delle cause ostative alle cariche elettive, privilegiando una lettura volta a favorire l'eleggibilità come regola e l'ineleggibilità come eccezione; regola divenuta ancora più stringente dopo che il diritto di elettorato passivo (articolo 51 della Costituzione) è stato ricondotto nella sfera dei diritti inviolabili di cui all'articolo 2 della Costituzione.
      In relazione allo specifico impedimento alla candidatura connesso ad accertate responsabilità penali e alla sua compatibilità con le previsioni dell'articolo 51 della Costituzione, la questione è stata affrontata e risolta favorevolmente in numerose pronunce della Corte costituzionale relative alle cause ostative delle candidature previste dall'articolo 58 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
       Rispetto al diritto di elettorato passivo previsto dall'articolo 51 della Costituzione si è fatto prevalere - nel bilanciamento di una pluralità di valori costituzionali - quello dell'accesso alle cariche elettive solo di coloro che possiedono, al momento dell'elezione, i requisiti stabiliti dalla legge per essere eletti, salvaguardando la pari capacità elettorale dei cittadini e soprattutto evitando che un candidato abbia la possibilità di trarre una qualunque forma di vantaggio dall'avere tenuto comportamenti «non virtuosi» sul piano dell'agire comune o nell'ambito dell'esercizio di funzioni pubbliche.
      A titolo di esempio può citarsi il caso in cui, rispetto all'incandidabilità di condannati per peculato, concussione o corruzione, la Corte costituzionale ha posto in evidenza come l'incandidabilità miri a tutelare l'imparzialità, la correttezza e, in generale, il buon andamento della pubblica amministrazione, impedendo a coloro che abbiano riportato reati commessi nell'esercizio della loro funzione di rivestire, ancorché elettivamente, un pubblico ufficio.
      Il testo della presente proposta di legge riproduce le medesime cause ostative alla candidatura già previste dall'articolo 58 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e già valutate in termini positivi in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale.
      L'intervento legislativo si rende necessario poiché il legislatore, nel corso degli anni, ha operato una differenziazione della disciplina dell'incandidabilità in ragione delle consultazioni politiche o amministrative che deve al più presto essere superata.
      In base all'ordinamento vigente - sempre a titolo di esempio - un soggetto che abbia subìto una condanna per peculato, piuttosto che per corruzione, vede inibita la possibilità di candidarsi alle elezioni provinciali e persino a quelle di un piccolissimo comune con poche centinaia di abitanti, mentre vede spianata, senza ostacoli di sorta, la strada per l'accesso a un seggio nel Parlamento attraverso la sua regolare candidabilità.
      Secondo l'opinione prevalente tale situazione è l'effetto di una specifica attenzione rivolta dal legislatore alle istituzioni potenzialmente più «fragili», agli organi locali di rappresentanza democratica (province e comuni) più esposti all'attacco, al condizionamento, all'infiltrazione di poteri illegali: per queste ragioni sono state introdotte
 

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cause ostative alla candidabilità di soggetti coinvolti in vicende giudiziarie. Nessuna attenzione è stata invece rivolta nel corso degli anni all'area delle istituzioni politiche nazionali, alle quali è stata riconosciuta maggiore capacità immunitaria, anche in ragione della capacità selettiva delle direzioni politiche dei partiti e dei movimenti, teoricamente più capaci per i meccanismi della competizione politica di arginare fenomeni presenti in misura maggiore a livello locale.
      La realtà si è però rivelata nel corso degli anni e in molte occasioni diversa dalla teoria, imponendo un intervento legislativo idoneo a prevedere le stesse limitazioni all'accesso alla carica elettiva di sindaco o di consigliere comunale anche per quella di parlamentare.
      Questo è, nella sostanza, il contenuto dell'articolo 1 della presente proposta di legge.
      Il testo contiene, agli articoli 2 e 3, l'introduzione di strumenti idonei a rafforzare il sistema di esclusione del soggetto incandidabile dalla competizione elettorale, anche per rispondere a sollecitazioni indirettamente contenute in alcune pronunce della Corte costituzionale.
      La semplice nullità dell'elezione non sembra idonea a restituire al momento elettorale quelle garanzie legate al suo svolgimento e ai suoi risultati che la presenza in lista di soggetti incandidabili inevitabilmente potrebbe alterare.
      In altri termini, l'esclusione del soggetto incandidabile ormai già eletto lascerebbe immutate le alterazioni che la sua presenza in lista e nella competizione elettorale potrebbe avere determinato, anche sul piano dei risultati complessivi.
      Il sistema è quello già previsto dal testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361.
      Gli articoli 22 e seguenti del medesimo testo unico già disciplinano, infatti, alcune ipotesi di esclusione dalle liste di candidati ineleggibili (ad esempio, perché non iscritti nelle liste elettorali).
      Per ridurre il più possibile l'eventualità che soggetti incandidabili partecipino comunque alle competizioni elettorali si è, quindi, prevista l'obbligatorietà di presentare per ciascun candidato una dichiarazione sostitutiva ai sensi dell'articolo 46 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, comprovante l'insussistenza delle cause di incandidabilità (sanzionata penalmente dal successivo articolo 76 del medesimo testo unico, per il caso di dichiarazioni mendaci), nonché l'estensione del potere di esclusione di liste o di candidati già contemplata all'articolo 22 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, alle ipotesi precedentemente disciplinate.
      L'articolo 4 della presente proposta di legge recepisce ed esplicita l'orientamento comune secondo il quale l'elezione (o la nomina) del soggetto incandidabile è nulla, rinviando ai rispettivi Regolamenti parlamentari gli adempimenti e gli atti conseguenti da adottare.
      L'articolo 5, infine, disciplina la decorrenza dell'efficacia delle norme della legge.
 

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